lunedì 31 dicembre 2007

sarò inquietante


Rimettere a posto.
Riprendere il filo del discorso.
Come togliere un po’ la polvere.
Come quando si toglie la polvere e si ritrovano cose dimenticate.
Riscoprire.
Riprendere a respirare.
A che serve se sai che sarà ancora per poco?
Tra un poco ripiomberà il caos.
Bisognerà andare a cercare le cose che, nel caos, si sono perdute.
Accantonate.
Dimenticate.
Disabituate all’essere usate.
Gli eventi sono catastrofici e la catastrofe senza speranza.
La catastrofe è un precipizio antelitteram sul cui orlo ci arrampichiamo per scommessa.
Riappropriarsi delle parole.
Riprendere a scrivere.
A cercare.
A scavare.
Ma per adesso crogioliamoci nel Natale.

Il Natale è una festa vera.
Ne abbiamo perso il senso, dopo averlo voluto fondare, ma è una festa vera.
Il Natale ci ricorda il valore essenziale, sublime di una delle due cose più importanti che capitano al mondo, il nascere, la seconda è il morire. Eventi assoluti, irrimediabile, irreparabili, che non dipendono da noi e a cui noi diamo un valore etico inestimabile, perché unici e irripetibili nel singolo.
O almeno così vorremmo che fosse.
In natura in realtà la vita conta per sé stessa, in quanto valore assoluto, la vita del singolo al contrario, è un fenomeno alquanto precario e transitorio.
Fragile.
Fugace.
Labile.
Facilmente falciabile dallo sguardo di dio o dalla mano di atropo o dall’incoscienza di uno studente che ha bevuto troppo.
Dall’ira.
Dalla superficialità.

Lo so che pensi che è un po’ tardi per parlare del natale, siamo già a capodanno.
Il fatto è che tutti i giorni nasce un povero cristo e ogni giorno va bene per natale.
Il fatto è che mi hanno ucciso un gatto sotto gli occhi.
Un disastro di essere umano gli è andato a sbattere controp la coda con la gomma dell’auto e lui, il gatto, è rimasto a centro strada con la schiena sbattuta a terra a dimenarsi furiosamente.
Avrei voluto scendere dall’auto e levarlo da lì in mezzo, avrei voluto bloccare le auto che arrivavano nei due sensi, e sottrarlo allo strazio, ma non ce l’ho fatta, ho avuto paura.
Paura di non fare in tempo e che la gomma dell’ennesima auto lo trapassasse esattamente a metà e del sangue che schizzando all’improvviso, mi avrebbe sporcato le mani, il viso e il cappotto, e soprattutto, la vista che impotente, cercava di arrivare dopo dell’auto che l’avrebbe definitivamente schiacciato sul selciato fracassandone le tenere ossa. Io quel rumore non volevo sentirlo, così sono scappata via, proteggendo lo sguardo e ottenebrando l’udito e imprecando.

Quando due ore più tardi sono ripassata di là ero pronta a vedere qualcosa di orribile, indistinto pelo accartocciato e confuso col colore dell’asfalto. Invece l’asfalto era pulito, liscio e libero. Si vede che qualcuno ha avuto più coraggio di me.

Ad ogni modo buon anno anche a te che insisti a volermi leggere, che ogni tanto mi pensi e che sicuramente hai bisogno che l’anno che viene sia sereno, felice, importante, sostanzioso, pieno di grandi promesse, abbastanza maturo da mantenere quegli impegni, che ti porti qualche segno prezioso e intelligibile del suo indubbio valore, un po’ di fortuna e un po’ di meraviglia.
Per il mondo mi auguro un po’ di lungimiranza, un po’ d’intelligenza e la capacità di fronteggiare almeno al minimo le mille difficoltà in cui si dibattono i popoli. Non sono così ingenua da credere che ci sia abbastanza ricchezza per tutti o che la pace prenderà il sopravvento. Però che ci siano dei governi capaci di rendersi sensibili ai problemi della terra e che s’impegnino a tutti i costi per risolverli, questo sì.
Mi auguro, nel profondo del cuore, che la moneta, qualche volta, non sia la suprema musa e che le grandi decisioni che ci riguardano vengano ispirate da un senso civico di profondo, profondissimo amore per l’umanità e per il nido che impropriamente e irresponsabilmente abita.

martedì 25 settembre 2007

goccedisally: poutpourrì 'o mastella


Riprenderò i miei ritmi, non temere. Ci riuscirò, prima o poi a ritornare assidua...
ma intanto,e per adesso
la frase che mi intriga di più è:
è stata una fatalità
la fatalità è sempre questione di un attimo.
la fatalità è una distrazione.
una distrazione, può costare la vita.
un attimo di distrazione... e nasce una vita.
solo una distrazione, e qualcosa per cui si è lavorato anni va in fumo.
la fatalità non si fa calcolare.
quell’attimo di distrazione le fu fatale...ecco...
questa è una frase che può mandare chiunque in bestia, anche un giocatore d'azzardo.

Ormai tutti i fisici e gli studiosi sono d’accordo che è meglio tirare che spingere, e come dicono dalle mie parti:
poti cchiù nu pilu di fimmina a'la 'nchianata
chi nu tiru di tori a'la calata


Ero così stanca che ho sognato...
Sulle mani odore di sapone di autogrill.
La cintura di sicurezza s’era incastrata nella saracinesca del garage. Naturalmente me ne accorgevo solo dopo 7 o 800 metri, avevo già svoltato a due incroci e passato un semaforo. Mi è toccato tornare indietro a retromarcia per sbrogliare la situazione e rimettere tutto al suo posto, cinture, saracinesca, incroci.
Mi sono immedesimata molto negli ingegneri che hanno stabilito a un certo punto che il motore era meglio tenerlo davanti e mettere dietro valige, pacchi e bambini.
Ma le distrazioni non finiscono qui.
Il balcone della cucina era più lungo del solito ed aveva qualcosa in comune con la mia dirimpettaia, un’imposta di troppo, che permetteva alla dirimpettaia di prima di invadermi con i suoi vasi, i suoi fiori, i suoi panni stesi. Nel sogno, si sa le soluzioni di continuità sono insignificanti e i salti temporali sono spaziali. Oppure è la memoria al mattino ad essere lacunosa. Fatto sta che la bambina della vicina entra nel cortile tutta addobbata da prima comunione, ci deve essere una festa in casa ed io entro per la finestra e attraverso corridoi multipli di una casa riccamente e orribilmente arredata. Maldestramente un vaso piomba sul muso del cane della vicina, che stramazza. Il cane, non la vicina.

Mastella ci è rimasto male e vorrebbe richiamare le leggi antiraziali perché qualcuno ha osato scrivere sul proprio blog Mastella ti odio. Mastella io non ti odio, ma francamente se ti avessi a tiro non potrei fare altro che sputarti in faccia, per quello che hai osato dire alla moglie di davide cervia quando facevi appena il sottosegretario, ripetendolo impunemente ai microfoni delle tv. Mastella, sei un inetto, non ti odio ma spesso mi chiedo guardandoti: se io non mi sento rappresentata da te, perché devi essere anche il mio ministro di grazia e giustizia?

venerdì 24 agosto 2007

goccedimafalda:fannì... oh candida


Fannì, deficiente....

non ti hanno spiegato che gli eroi sono tutti giovani e belli

e soprattutto....

sono quelli morti?

mercoledì 15 agosto 2007

per un fatto di piedi


Per un fatto di piedi mia madre mi costringeva ad interminabili passeggiate a piedi nudi sull’acciottolato della spiaggia.
Non è che fossi sola, o l’unica a soffrire.
Lei e la sua amica Iole avevano convinto tutte le mamme del quartiere del paese di pescatori dove andavamo a passare l’estate, che camminare a piedi nudi sui sassi rinforzava lo spirito, le ossa, la pianta dei piedi e preparava alla vita.
Lei e la sua amica Iole alle 3 del pomeriggio si appisolavano al fresco delle persiane abbassate nei loro letti, mentre io e una quindicina di altri scalmanati dall’età compresa tra i cinque e gli undici anni percorrevamo due chilometri di spiaggia sotto la guida dell’inflessibile guida-bambinaia di 15 anni. Ogni giorno, per tutti i giorni dell’estate, che per anni durò tre lunghi mesi.
Per un fatto di piedi, oltre a camminare sotto il sole e sopra i sassi ci era permesso arrampicarci sugli scogli.
Era il premio alla passeggiata fino alla fornace.
Gli scogli non erano quei cubi di cemento che adesso usa mettere a frangiflutti, ma veri e propri pezzi di roccia scivolosa o aspra e ruvida, che era molto meglio saltarci sopra che passeggiarci. E dovevamo imparare a districarci tra punte e spigoli, curve e cunicoli in un gioco in cui erano molto bravi i figli dei pescatori, ma solo all’inizio, perché poi, con l’abitudine, anche noi ragazzini di città, per un fatto di piedi, ci siamo fatti l’equilibrio adatto, e il coraggio per saltare da un picco all’altro nonostante il rumore del rifrangersi nelle orecchie e la paura di cadere.


Poi, con il tempo, ho notato che in un punto della mia vita, venivo assalita da una sorta di vertigine e un delicato plantare mi impediva di andare a piedi nudi e soltanto pensare di saltare da uno spuntone all’altro. Equilibri difficili da conservare, con sé stessi, col proprio corpo. Ero fragile. Lo dico adesso, che ho ripreso a camminare sugli scogli, un po’ sorpresa, un po’ imbranata forse, ma senza vertigine.
(nella foto una scultura di paolo borghi)

mercoledì 25 luglio 2007

pazienta

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